Chi salvera' la nostra visione?
giovedì 28 febbraio 2008
Dare corpo al corpo
L’estromissione del corpo da se stesso è l’ultimo atto dittatoriale di questo sistema. Appropriarsi non solo della nostra vita di consumatori, ma dei nostro organi vitali, del nostra dna, della nostra matrice divina.
La nascita e la morte, non sono gli anelli di congiunzione di un percorso, ma i varchi per intromettersi nella dignità del prossimo ed estraniarla così a se stessa. Senza pietà per quelle milioni di donne che nel corso della storia dell’umanità, si sono strappate i figli dal ventre, da sole, per mezzo di cannule, attraverso le mani danarose di medici compiacenti, per mezzo di intrugli e unguenti di ogni sorta.
Ogni donna che si e’ privata del procreare, sa quanto le sia costato, prendere “la decisione”, ma esiste una legge intoccabile per cui ci siamo battute.
Una legge, la 194, sotto cui rifugiarsi, per poter decidere consapevolmente.
E poi esiste, una legge, inviolabile, che è quella che segna il limite della propria coscienza, dove nessuno può arrogarsi il diritto di penetrare con armi e bagagli. Dove nessuno può bandire tavolate elettorali o giochetti d’immagine, tanto cari ai politici.
Il corpo, ultimo campo di battaglia. Non solo il corpo dei bambini che non nasceranno, ma di quelli che cloneranno. Il corpo delle donne: che per secoli si e’ lasciato violare dalle mani degli esperti di turno, o sepolto negli oscuri tunnel delle radiografie.
Al corpo s’impone la diagnostica, s’impone come un ordine di sopravvivenza. Se non vuoi morire devi prevenire.
Farti sgozzare, svuotare, inoculare, per garantirti un corpo longevo e sano. Un corpo perfetto, frugato nei reconditi segreti di escrescenze nascoste. Macchie oscure, di funesti presagi, tra notti insonni e responsi…
Il corpo cucito nella bocca umida e nascosta, perché non provi né cerchi mai il piacere. Il corpo dai piccoli piedi di petali di loto, con le dita spezzate dalla fasciatura. Per non poter mai più fuggire. Il corpo stretto, nei corpetti maliziosi, in cui morire senza fiato. Il corpo largo come una terra tonda, irrorata dall’acqua di sorgente, sul bordo della vasca di un Hamman. O deformato, dal peso delle brocche e dalle lunghe camminate nel deserto. O ancora, accasciato sulla scrivania di un ufficio, da cui vedere le mille luci della notte e chiedersi quale sia la nostra casa. Affamare il corpo, e spogliarlo della carne e del sangue per poi abbandonarlo, e spegnerlo nei sensi e dissensi come un panno consunto.
Ovunque, corpi, di cui siamo fatti e sfatti. In formazione e decomposizione, terra di conquista, da cui fuggire. Non si dice forse “ha lasciato il corpo”?, o “mi sei entrato in corpo”. Ma anche “andare di corpo”, come amano dire i vecchi che provano nella defecazione, lo stesso piacere di una vera liberazione.
E poi, battersi, “corpo a corpo”, e dare un parametro tecnologico universale, “corpo di scrittura” nascosto nel computer.
I bambini danneggiati da vaccino sono scarti di lavorazione.
Il corpo inutile di Piergiorgio Welby è uno scarto di lavorazione.
Gli embrioni che rivelano le loro imperfezioni attraverso le ecografie sono scarti di lavorazione.
I cloni “pecorecci”mal riusciti, sono scarti di lavorazione.
Le teste matte delle vecchiette con l’alzheimer sono scarti di lavorazione.
A quelli come me, resta la scialletta sulle spalle, gli acciacchi delle ossa, il fuoco di un camino, la pancia e il collo giù, cadenti. A quelli come me, e al resto di milioni di miliardi di persone che abitano le terre dimenticate di questo pianeta, restano i virus, le malattie e la morte. Eppure dovremmo essere malinconicamente felici di partecipare a questo destino collettivo. Una vicenda che ha visto coinvolte gente come Buddha, Confucio, Socrate, Platone, Dante e il mahatma Gandhi.