Chi salvera' la nostra visione?
giovedì 17 maggio 2007
Strane sindromi
Il bonsai è rinsecchito. Non è stata una fine rapida.
Se ne stava così, tutto storto sul davanzale senza respirare più niente.
Avrà ceduto, perché l’ho trascurato forse, o perché ho esagerato nel mio inzupparlo di acqua.
Sì, deve essere stato così, devo averlo affogato e, per spirito di emulazione, per quel legame segreto che gli esseri della Natura possiedono fra loro, gli sono andati appresso anche i pesci.
Una mattina ci siamo accorti che nell’ampolla ne mancava uno, e cerca cerca, l’abbiamo trovato spiaccicato sotto alla credenza. Possibile che si sia suicidato, mi sono chiesta?
Ma dopo neanche una settimana, ero sul fouton a guardare il telegiornale e l’effetto dell’apparizione di Luca Scafato, alle otto di mattina, deve essere stato talmente scioccante che puff, mi cade Bartolo, l’altro pesce, in testa. Cacchio, lo prendo tra le mani e lo rimetto dentro.
Il giorno dopo Bartolo giaceva sul fondo, stecchito. Con gli occhi sbarrati in mezzo ai sassolini verdognoli. Bartolo aveva tentato di suicidarsi e io l’avevo salvato, ma la sua scelta di farla finita con quella vita misera, ampollinea e trasparente - come in un barattolo di salsa tonnata - deve essere stata determinata dallo scegliere il male minore.
Il bonsai e i pesci, erano sulla stessa traiettoria e si sono mandati un messaggio: tam tam, per finirla con un mondo così circoscritto.
Un pesce che non pensa, non sente e non sa, decide e sceglie la sua coraggiosa morte.
Come certi eroi giapponesi che fanno harakiri per andarsene in gloria.
Ma i Giapponesi non sono poi così tanto gloriosi, me ne accorgo mentre preparo le scalette della prossima puntata. In testa, devo mettere la sindrome di Hikikomori.
Sono curiosa di sapere chi diavolo, siano questi Hikikomori.
Ragazzini di dodici, quindici o sedici anni, che si chiudono nella loro camera e non ne escono più fino a morirne.
Migliaia di ragazzetti giapponesi crepano di inedia, per suicidio o fame, perché autoreclusi nella loro casa, senza volere nessun contatto neppure con i familiari, il più delle volte come reazione a un fallimento scolastico o sociale.
Bene, nel Giappone della iperproduttività, gli adolescenti che non hanno nessun rapporto affettivo con i loro padri impegnati a rendere grande la loro nazione, si chiudono in casa a morire. Un po’ come i pesci e come il bonsai il declino di una civiltà comincia dal più debole anello della catena evolutiva.
Ha ragione Terzani quando dice che la decivilizzazione è l’ultimo atto della nostra società occidentale.
Decivilizzazione come privazione di un senso costruttivo e aggregante che per secoli ha tenuto unito il genere umano.
Ma adesso, a quale genere noi apparteniamo?
Un genere in via d’estinzione da un lato e in via di costruzione dall’altro.
E nel mezzo, fra due misure così distanti fra loro, cadono quelli più deboli. Come una processione di formiche che scende nel sottosuolo più profondo, sempre più giù, deve essere quello il paese degli Hikikomori.
Sì, nel buco più oscuro del mondo, ci hanno messo tutti lì dentro, belli e stipati come sardine, acciughe sott’olio, magari scadute.
Perché duriamo poco: il tempo appena di essere produttivi.
E consumare, consumare per fare girare l’economia.
I bambini e i vecchi non fanno più auditel, l’ha detto il presidente.
Tuttavia ci fanno comodo per rimpinzarli di farmaci e merendine, assicurazioni, cateteri e cedolini.
Se invece sei giovane, canti balli e te la spassi, allora fai auditel e quindi esisti, e quindi ti vedo, e quindi ti vendo.
Ti svendo, come merce di scambio autoprodotta in misura seriale, perchè quello che compri è molto più di quello che vali.
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